Titolo: Texaco
Autore: Patrick Chamoiseau
Edizione: Paris, Gallimard
Genere: romanzo
Affresco storico e popolare insieme, Texaco riscrive la storia
delle Antille dalle piantagioni ad oggi dal punto di vista creolo,
attraverso le vicissitudini di Esternome Laborieux, schiavo liberato
alla conquista della città, e successivamente di sua figlia
Marie-Sophie, fondatrice del quartiere popolare da cui prende il
nome il romanzo.
La complessa struttura dell'opera si dispone principalmente
in tre grandi parti, i cui titoli riecheggiano ironicamente il misticismo:
la prima parte, Annonciation, vede l'apparizione dell'urbanista
inviato per radere al suolo il quartiere abusivo di Texaco, sorto
nei pressi dei depositi della celeberrima società petrolifera.
È a lui che Marie-Sophie Laborieux, ostinata fondatrice del
quartiere, indirizzerà il suo Sermon per convincerlo
a risparmiare Texaco e i suoi abitanti. Questo "sermone"
occupa la parte centrale del romanzo e ne costituisce il fulcro.
Esso si divide a sua volta in quattro parti che raccontano le trasformazioni
della Martinica nei secoli attraverso lo specchio dei cambiamenti
urbanistici: il racconto di Marie-Sophie parte così dai Temps
de paille, passando per quelli di fibrociment, per arrivare poi
a quelli di béton.
È infine nella terza ed ultima parte, dall'emblematico titolo
Résurrection, che il quartiere viene salvato, dando
la possibilità al narratore di ribadire ancora una volta
la sua volontà di re-impossessarsi della storia antillana
dall'interno, attraverso uno stile e una lingua distinti da quelli
francesi.
Lo stile di Chamoiseau, definito flamboyant dalla
critica, è ricco e composito, vivace commistione di
registri alti e bassi, di parole volgari e aulicismi, in linea con
la volontà dell'autore di riprodurre la forza del discorso
orale.
Chamoiseau piega la lingua francese perché possa rendere
la vividezza del parlato creolo: accanto a termini specificamente
creoli, come mitan (fr. Milieu) o en-ville (la città
antillana), Chamoiseau riproduce il français créolisé
attraverso forme francesi modificate che mimano una conoscenza approssimativa
della lingua (ex. Bonjou; Eskisé).
Ma a dare un carattere innovativo al romanzo è senza dubbio
la stupefacente creatività lessicale dell'autore, che mescola
néologismes e giochi di parole: il narratore diviene
così un "marqueur de paroles", e dietro il suo
nome fittizio, Oiseau de Cham, è facile intravedere
l'anagramma del nome dell'autore.
Attraverso la creatività linguistica Chamoiseau non
fa che ribadire il valore magico della parola e il suo potere immaginifico:
da un lato, si tratta di un recupero della parola africana,
quella del nonno di Marie-Sophie, schiavo accusato di stregoneria,
o dell'ultimo mentô, stregone-guaritore, simbolo di una cultura,
quella della négritude, che sta lentamente scomparendo.
Dall'altro lato, emerge con insistenza la parola creola,
quella di Esternome e Marie-Sophie, che piega il francese al ritmo
del creolo e che l'autore stesso esalta nella nota di chiusura del
romanzo. Appare anche, a tratti, la parola francese, quella
della conoscenza e dei libri che Marie-Sophie custodisce gelosamente
come suo unico patrimonio, tuttavia essa rimane sottoposta alla
parola creola.
Attraverso la ricchezza dello stile, la commistione di
registri, il rigoglioso uso della parola e la ricerca
linguistica, Chamoiseau riscrive una storia delle Antille vista
dall'interno, attraverso parole e immagini che fondono insieme le
varie tappe di una storia multiforme.
Si tratta di parole e immagini che insinuano elementi soprannaturali
nella narrazione tradizionale, come esige la tradizione del réalisme
merveilleux, mescolanza di avvenimenti meravigliosi inseriti in
una narrazione che per il resto si vuole realistica.
Chamoiseau, e con lui altri autori antillani, non si accontenta
del realismo. Come scrive David Lodge in The Art of Fiction, quando
si sopravvive a sconvolgimenti storici radicali il realismo non
è più sufficiente a rappresentare al realtà.
Ilaria Vitali
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