Titolo: Jacques le fataliste
Autore: Denis Diderot
Edizione: Paris, Gallimard
Genere: romanzo
"Comment s'étaient-ils rencontrés?" con
questa domanda, impossibile da attribuire senza un margine di dubbio
al narratore o al lettore, si apre uno dei più importanti
romanzi del settecento e della letteratura francese tout
court.
Si tratta di 'Jacques le fataliste', un'opera densa di ironia
sferzante, di riflessione giocosa, e soprattutto di
profonda modernità. Cominciare un romanzo con
una domanda implica infatti la remise en question radicale
dell'onniscienza del narratore tradizionale, nella volontà
di aprire un inaspettato dialogo con il lettore che prosegue in
modo inatteso e ironico, nelle diverse parti del romanzo.
Il romanzo dichiara fin dall'incipit il suo carattere ironico e
dissacrante attraverso il rovesciamento dei motivi classici della
retorica: incomincia infatti in medias res, sottolineando l'atteggiamento
ironico di Diderot nei confronti dei momenti fondamentali dell'oratoria
classica e dell'illusione referenziale.
Cogliamo i due protagonisti in cammino, non sappiamo da
dove vengono né dove sono diretti, ma soprattutto, non sappiamo
chi sono.
Tutto ciò che sappiamo è che si tratta di Jacques,
un valletto convinto dell'esistenza di un Grand Rouleau in cui tutto
ciò che succede è già stato scritto, e del
suo padrone. Oltre ad attaccare le regole dell'illusione mimetica,
l'ironia di Diderot non risparmia neanche la dottrina filosofica
del fatalismo - secondo cui tutto ciò che accade all'individuo
è necessario - disintegrandola dall'interno attraverso la
credulità di Jacques. La fiction diviene strumento
di demistificazione per eccellenza.
La trama del romanzo è in fondo inesistente - e del
tutto irrilevante - e si snoda secondo un complesso incastro a scatole
cinesi, il cui sviluppo è allo stesso modo insensato: il
tema trattato potrebbe essere infatti semplicemente racchiuso
nella domanda "che cos'è un romanzo?", lasciando
in secondo piano i motivi del racconto.
Attraverso le parole di Jacques "che diceva che il suo capitano
diceva
", Diderot mette così in scena una mise
en abîme ante litteram, strategia letteraria che sarà
ampiamente ripresa nel novecento.
Nel corso del romanzo il linguaggio di Diderot diviene sempre più
meta-linguaggio, riflessione e analisi su se stesso e le
proprie strutture, nutrendosi di insolite conversazioni con un ipotetico
e irascibile lettore: il romanzo si trasforma in meta-romanzo,
se non addirittura in anti-romanzo, che non vuole chiudersi definitivamente
con un punto finale, preferendo aprirsi in tre diverse possibilità,
una più improbabile e spassosa dell'altra. L'opera rimane
così dichiaratamente "aperta" sottolineando la
libertà e il diritto all'interpretazione personale.
Ci troviamo dunque in presenza di un'opera giocosa, irriverente,
che con la sua originalità dissacrante supera il tradizionale
realismo.
Con questo romanzo Diderot apre le porte al romanzo novecentesco.
Ilaria Vitali
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