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Traduzione e desemantizzazione: Allah n'est pas obligé di Ahmadou Kourouma (di Ilaria Vitali)
Titolo: Allah n'est pas obligé
Autore : Ahmadou Kourouma
Edizione : Paris, Gallimard
Genere: Romanzo

Vincitore del Prix Renaudot, questo romanzo racconta in modo del tutto insolito lo spaventoso scenario delle guerre fratricide che insanguinano l'Africa sub-sahariana. Servendosi della voce "ingenua" di un ragazzino, protagonista di molteplici sventure, Kourouma traccia un ritratto impietoso e per nulla lacrimevole delle lotte intestine del Liberia e della Costa d'Avorio.

Il romanzo, in breve, racconta le vicissitudini di un bambino ivoriano, Birahima, che, dopo la morte della madre invalida, parte alla ricerca della zia in Liberia.
Prima di arrivarci dovrà arruolarsi come enfant-soldat, imbarcandosi in una serie di intricate guerre tribali insieme al suo accompagnatore, Yacouba, un féticheur speculatore che la gente chiama "multiplieur de billets".

La narrazione è condotta in prima persona da Birahima che racconta ciò che ha visto e vissuto senza tuttavia capirlo fino in fondo. Birahima è infatti un autodidatta della parola che non ha una buona conoscenza del francese e perciò inventa la propria lingua e ne diviene l'unico responsabile, dal momento che non esiste nessun narratore onnisciente a guidarlo.
Per raccontare la propria storia egli si serve di quattro preziosi dizionari, attraverso i quali cerca di definire, a modo suo, la sua condizione. È proprio questa operazione continua di definizione e ridefinizione linguistica a costituire la specificità del romanzo.
L'astuzia del narratore-bambino - o piuttosto quella di Kourouma - è infatti quella di accompagnare parole francesi e malinké con una sorta di duplice definizione tratta dai dizionari. Il risultato è quindi un'opera costante di traduzione da una lingua all'altra, che sfocia in una rigenerazione linguistica e in una moltiplicazione continua dei punti di vista.

Attraverso l'uso dei dizionari, Kourouma sottolinea la volontà di ricreare la lingua del francese hexagonal nutrendola di espressioni africane.
Per attuare questo rinnovamento, Kourouma si serve soprattutto di un processo linguistico definito desemantizzazione: attraverso questo procedimento Kourouma assume termini francesi svuotandoli però del loro significato originario per utilizzarli poi in modo nuovo, riempiendoli di nuovi contenuti. Come altri autori francofoni, Kourouma piega il francese per rendere espressioni proprie della sua lingua: accanto ai calchi francesi di espressioni malinké (ex. avait fini nel senso di était mort) troviamo così l'invenzione di néologismes che danno un tono africano alla narrazione, o ancora giochi di parole in cui l'autore rompe volutamente il ritmo del francese classico per ritrovare quello della sua lingua.

È interessante notare come il tono della narrazione rimanga sempre divertito, a tratti persino comico, anche nei momenti più crudi, dove sarebbe stato facile per Kourouma profondersi in facili drammatizzazioni.

Per quanto riguarda lo stile, esso è volontariamente maladroit, dal momento che deve rendere il francese di un bambino africano non secolarizzato. Abbondano dunque le imperfezioni stilistiche volute, le ripetizioni, le continue definizioni, che rallentano a tratti i ritmo della narrazione, ma delineano un quadro efficace dell'operazione di scrittura e ri-scrittura propria dell'universo francofono.

Attraverso l'operazione costante di traduzione effettuata dal protagonista, Kourouma mette dunque l'accento sulla specificità della scrittura francofona, ovvero su quel lavoro continuo di riflessione linguistica che ne costituisce il carattere dominante. A differenza dell'autore francese, l'autore francofono è infatti costretto a "penser la langue": egli deve riflettere a fondo su ogni parola prima di poterla produrre sulla carta.

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